Innanzitutto: Marley era morto. Su questo non vi era alcun dubbio. Il registro mortuario recava la firma del prete, dell’impiegato comunale, dell'impresario delle pompe funebri e del piagnone capo. Scrooge vi aveva apposto la sua: e il nome di Scrooge, alla Borsa dei Cambi, valeva quanto una sentenza, sotto ogni punto di vista. Il vecchio Marley insomma era morto, morto stecchito, come un chiodo di portone. [in originale “as dead as a door-nail”, equivalente appunto al nostro “morto stecchito”. Frase idiomatica risalente al 1300 e utilizzata anche da Shakespeare in Enrico IV parte II e Falstaff: “Falstaff: What! is the old king dead? Pistol: As a nail in a doornail”; come a rimarcare l’inutilizzabilità di un chiodo, il quale, essendo ribattuto, era “morto” a qualsiasi altra possibilità di riutilizzo].
Badate! Con questo non voglio dare a intendere di conoscere, per esperienza diretta, cosa vi sia di particolarmente morto in un chiodo di portone. Per conto mio, sarei più propenso a considerare come il pezzo più stecchito di tutta la ferraglia attualmente in commercio un chiodo di catafalco. Ma poiché la saggezza dei nostri avi si esprime tutta per metafore, la mia sacrilega mano non oserà toccarla, sennò il paese è bello che spacciato. Lasciate dunque che io vi ripeta, solennemente, che il vecchio Marley era morto, morto stecchito, come un chiodo di portone.
Scrooge era al corrente della sua morte? Ovviamente sì. Come avrebbe potuto non esserlo? Il sodalizio tra Scrooge e il morto si perdeva nella notte dei tempi. Scrooge era il suo unico esecutore testamentario, il suo unico procuratore, il suo unico erede, il suo unico legatario universale, il suo unico amico e l’unico a portare il lutto. E sebbene Scrooge non si sentisse particolarmente toccato dal triste evento, tuttavia si dimostrò un eccellente uomo d’affari proprio il giorno stesso del suo funerale, onorandone la memoria intascandosi tutto il suo patrimonio.
L’aver menzionato il funerale di Marley ci riporta al punto di partenza. Non c’era dunque alcun dubbio che Marley fosse morto. Questo mettiamolo bene in chiaro, altrimenti nulla di meraviglioso potrà mai scaturire dalla storia che sto per raccontarvi. Se non siamo tutti perfettamente d’accordo sul fatto che il padre di Amleto fosse già morto prima di iniziare la commedia, non vi sarebbe niente di così straordinario nella sua passeggiatina notturna lungo i bastioni del suo maniero spazzato dal vento di levante, non più speciale di quella di un gentiluomo di mezza età che se ne esca sul far della sera in un posticino ventoso - poniamo, per ipotesi, il cimitero della cattedrale di San Paolo - giusto per far colpo sulla mente impressionabile del proprio figliolo.
Scrooge non tolse mai dall’insegna il nome del vecchio Marley. Se ne stava ancora là, dopo tanti anni, sopra la porta dell’ufficio: Scrooge & Marley. La stessa ditta era conosciuta come Scrooge & Marley. Talvolta, qualcuno poco pratico d’affari chiamava Scrooge “Scrooge” e altre volte “Marley”. Ma lui rispondeva a tutti e due in nomi, per lui non faceva differenza.
Oh! Era proprio uno spilorcio della malora il nostro Scrooge! Una strizza, spremi, gratta, arraffa, vecchia avida sanguisuga! Duro e affilato come una selce, da cui nessun acciarino aveva mai cavato una scintilla di generosità; impassibile, solitario, e chiuso in sé stesso come un’ostrica. Il ghiaccio che aveva dentro l'anima gli congelava i lineamenti da vecchio, gli affilava il naso aquilino, gli scavava le guance, gli irrigidiva i passi, gli arrossava gli occhi, gli colorava di blu le labbra sottili, e le parole uscivano taglienti dalla sua stridula voce. Un gelido velo di brina gli ricopriva il cranio, le sopracciglia, il mento appuntito. Dovunque andasse, si portava sempre apresso quel suo clima glaciale, che gli manteneva fresco l’ufficio nei giorni di caldo, e che non saliva d'un grado nemmeno a Natale.
Caldo e freddo non avevano alcun effetto su Scrooge. Non c’era estate che lo scaldasse, né inverno che lo infreddolisse. Nessuna raffica di vento era più pungente, nessuna nevicata più ostinata, nessuno scroscio di pioggia più inesorabile di lui. Il maltempo non sapeva da che parte prenderlo. La pioggia più battente, la neve, la grandine, il nevischio, potevano vantare un solo vantaggio su di lui: spesso essi “si davano” generosamente, mentre Scrooge, mai.
Nessuno lo fermava mai per strada per chiedergli, in modo gentile: “Mio caro Scrooge, come state? Quando mi farete visita?”. Nessun mendicante gli supplicava mai l’elemosina, nessun bambino gli chiedeva mai l’ora, né uomo o donna avevano mai osato rivolgersi a lui per chiedergli anche solo un’indicazione. Perfino i cani dei ciechi sembravano riconoscerlo, e quando lo vedevano arrivare, trascinavano il loro padrone in un vicolo o sotto un portone mettendosi a scondinzolare con la coda fra le gambe, come a dire: “Meglio non aver occhio piuttosto che malocchio, mio guercio padrone!”
Ma a Scrooge che importava? Anzi, ci provava gusto. Avanzare lungo le strade affollate della vita intimando alla simpatia umana di farsi da parte, era quella che i più esperti chiamavano “la rotella fuori posto” di Scrooge.
Un bel giorno - il più bel giorno dell’anno, la vigilia di Natale - il vecchio Scrooge se ne stava seduto come sempre occupatissimo nel suo ufficio contabile. Era una giornata gelida, tetra, di un freddo pungente, per di più nebbiosa, e si sentiva la gente andare su e giù per le strade battendosi le mani sul petto e pestando i piedi sul selciato per tentare di scaldarsi. Gli orologi della città avevano da poco suonato le tre, ma faceva già buio: per tutto il giorno c'era stata poca luce e le candele brillavano alle finestre degli uffici vicini come macchie rossastre sopra la densa aria scura. La nebbia si infilava in ogni fessura e buco di serratura, ed era così fitta che benché quel vicolo fosse uno dei più angusti, le case di fronte si distinguevano appena come dei fantasmi. A vedere la sudicia nube che era calata sulla città oscurando ogni cosa, si sarebbe detto che la Natura avesse preso casa lì vicino e si fosse messa a fermentare birra su larga scala.
La porta dell’ufficio di Scrooge era aperta per dargli modo di tenere d’occhio l’impiegato, che in una squallida e angusta celletta lì di fianco, una specie di cisterna, era intento a ricopiare della corrispondenza. Il fuoco di Scrooge era davvero poca cosa, ma quello del suo impiegato era così ridotto ai minimi termini che sembrava alimentato da un singolo pezzetto di carbone. Ma non c’era modo di aggiungerne dell’altro, poiché Scrooge si teneva ben stretta la cesta del carbone dentro il suo ufficio, e quand'anche l’impiegato si fosse presentato alla porta con la paletta in mano, il padrone gli avrebbe prontamente comunicato che si sarebbe visto costretto a interrompere la loro collaborazione. Di conseguenza l’impiegato si stringeva nella sua candida sciarpa tentando di riscaldarsi alla flebile fiammella della candela, ma in questo tentativo, non essendo un uomo dotato di grande immaginazione, immancabilmente falliva.
“Buon Natale, zio! Che Dio vi protegga!” gridò una voce allegra. Era la voce del nipote di Scrooge, la quale lo investì così improvvisamente da costituire il primo indizio della sua presenza.
“Bah!” disse Scrooge, "Sciocchezze!"
Si era talmente riscaldato, questo nipote di Scrooge, camminando a passo spedito nella nebbia e nel freddo, che aveva preso un bel colorito; il suo volto era arrossato e florido, gli occhi gli brillavano, e il suo fiato emanava nuvolette di vapore.
“Natale una sciocchezza, zio?” disse il nipote di Scrooge. “Non lo pensate veramente, ne sono certo.”
“E invece sì,” disse Scrooge. “Buon Natale! Che diritto avete, voi, di sentirvi così buono? Che motivo avete di essere così felice? Siete troppo povero per esserlo.”
“Suvvia,” ribatté allegramente il nipote. “Che diritto avete voi di essere così triste! Che motivo avete di essere così scontroso! Siete troppo ricco per esserlo.”
Scrooge, ritrovandosi in quel momento sprovvisto di una pronta risposta, si limitò a ripetere “Bah,” seguito dal suo solito "Sciocchezze!"
“Non siate così amaro, zio,” disse il nipote.
“E perché no?” disse lo zio in tutta risposta, “Quando vivo in un mondo pieno di matti. Buon Natale! Al diavolo il Buon Natale! Che cos’è il Natale se non il momento di saldare i debiti senza il becco d’un quattrino; il momento di ritrovarvi di un anno più vecchio senza essere di un’ora più ricco; il momento di tirare le somme dei vostri libri contabili e ritrovarvi con tutte le singole voci in perdita nel corso di tutti i dodici mesi precedenti? Fosse per me,” disse Scrooge sdegnato, “ogni idiota che se ne va in giro con un ‘Buon Natale’ stampato sulla punta della lingua, dovrebbe essere bollito insieme al suo pudding e seppellito con un rametto di agrifoglio piantato nel cuore. Ecco, quello sarebbe un Buon Natale!”
“Zio!” lo supplicò il nipote.
“Nipote!” ribatté severo lo zio, “Voi tenetevi pure il vostro Buon Natale, che io mi terrò il mio.”
“Tenervelo!” ripeté il nipote di Scrooge. “Ma a quanto pare voi non ci tenete!”
“E allora lasciatemi in pace” disse Scrooge. “E che buon pro vi faccia! Tutto quello che vi ha sempre fatto!”
“Sono molte le cose da cui avrei potuto trarre profitto, e di cui, oserei dire, non ho mai approfittato,” disse in risposta il nipote, “e tra queste il Natale. Ma vi posso assicurare che ho sempre pensato a questo periodo dell’anno, ogni volta che si è presentato - a parte il rispetto dovuto al suo sacro nome e alle sue sacre origini, se mai si possa distinguere questo aspetto dal resto - come un periodo felice, di gentilezza, di perdono, di gioia, di carità: l’unico periodo che io conosca, durante tutto il durevole corso dell’anno, in cui uomini e donne sembrano acconsentire di comune accordo a spalancare liberamente i loro angusti cuori, e a pensare alle persone meno fortunate come se queste fossero davvero delle povere creature che condividono il loro stesso destino, e non esseri di una specie inferiore confinati in un mondo diverso dal loro. E quindi, zio, anche se il Natale non mi hai messo in tasca una briciola d’oro né d’argento, credo che mi abbia fatto del bene, e continuerà a farmene anche in futuro, per questo io vi dico: Dio lo benedica!”
All’impiegato scappò involontariamente un applauso: accortosi immediatamente dell’errore, si diede ad attizzare il fuoco estinguendone per sempre l’ultima impalpabile scintilla.
“Un’altra intemperanza da parte vostra,” disse Scrooge, “e vi potrete tenere il vostro Natale in cambio della vostra occupazione! Siete davvero un formidabile oratore, signore,” aggiunse rivolto al nipote. “Mi chiedo come mai non siate già in Parlamento.”
“Suvvia, non vi arrabbiate, zio! Venite a mangiare da noi domani.”
Scrooge disse che piuttosto l’avrebbe visto andare all… sì, lo disse veramente. Terminò la frase e disse che piuttosto l'avrebbe visto andare all’inferno.
“Ma perché?” esclamò il nipote. “Perché?”
“E voi perché diamine vi siete sposato?” disse Scrooge.
“Perché ero innamorato.”
“Perché eravate innamorato!” grugnì Scrooge, come se fosse l’unica cosa al mondo più ridicola di un Buon Natale. “Buonasera!”
“Andiamo, zio, non siete mai venuto a trovarmi nemmeno prima, perché usarla ora come scusa per non venire da noi?”
"Buonasera," disse Scrooge.
“Non voglio niente da voi, non vi chiedo niente, perché non possiamo essere amici?”
“Buonasera,” disse Scrooge.
“Mi dispiace, con tutto il cuore, di vedervi così risoluto. Non abbiamo mai avuto alcuno screzio di cui io possa ritenermi responsabile. Se ho fatto questo tentativo è stato esclusivamente in ossequio al Natale, e manterrò il mio spirito natalizio fino alla fine. Per questo io vi dico: Buon Natale, zio!”
"Buonasera!" disse Scrooge.
“E un felice Anno Nuovo!”
“Buonasera!” disse Scrooge.
Nonostante ciò, il nipote lasciò l'ufficio senza proferire una sola parola di biasimo. Si fermò presso la porta d'ingresso per fare gli auguri all’impiegato, il quale, nonostante fosse infreddolito, era pur sempre più caloroso di Scrooge, tanto che ricambiò cordialmente.
“Eccone un altro,” mormorò Scrooge che l’aveva udito, “il mio impiegato da quindici scellini a settimana con moglie e figli a carico, che si mette a parlare di Buon Natale, roba da matti.” [in originale "I'll retire to Bedlam", "da finire al Bedlam", il Bethlem Royal Hospital di Londra, ospedale psichiatrico].
Il matto in questione, facendo uscire il nipote di Scrooge, fece entrare altre due persone. Erano due robusti gentiluomini, di bell’aspetto, che ora stavano in piedi, con il cappello in mano, nell’ufficio di Scrooge. Avevano con loro dei libri e alcune carte, e gli rivolsero un inchino.
“Scrooge & Marley suppongo?” disse uno dei gentiluomini, consultando la sua lista. “Ho il piacere di rivolgermi al signor Scrooge o al signor Marley?”
“Il signor Marley è morto sette anni fa,” replicò Scrooge. “Precisamente sette anni fa, esattamente questa notte.”
“Non dubitiamo che la sua generosità sarà molto ben rappresentata dal socio superstite,” disse il gentiluomo esibendo le sue credenziali.
Non v'era da dubitarne: ai loro tempi lui e Marley erano stati proprio una bella coppia. Alla minacciosa parola “generosità” Scrooge aggrottò la fronte e scosse la testa, restituendo le credenziali al mittente.
“Nel periodo delle festività, signor Scrooge,” disse il gentiluomo prendendo in mano una penna, “è più che mai auspicabile che tutti noi facciamo una piccola offerta per i poveri e per i bisognosi, che soffrono molto questo periodo dell’anno. In migliaia sono privi dell’indispensabile; e centinaia di migliaia non possono accedere ai beni di prima necessità, signore.”
“Forse non vi sono più prigioni?” chiese Scrooge.
“In gran quantità,” rispose il gentiluomo, posando la penna.
“E le case-lavoro?” domandò Scrooge. “Sono ancora attive?”
“Lo sono ancora,” disse in risposta il gentiluomo, “anche se in realtà preferirei vivamente che non lo fossero.”
“E il mulino dei forzati, la legge sui poveri, sono ancora in vigore?” disse Scrooge.
“Entrambe in pieno vigore, signore.”
“Oh! Da quel che avevo intenso, per un attimo ho temuto che fosse intervenuto qualcosa a interrompere l’utilissimo corso di queste meritevoli istituzioni,” disse Scrooge. “Sono felice di apprendere il contrario.”
[riferimenti alle "Union-Workhouses", case villaggio in cui poveri e senzatetto ricevavano sostentamento e riparo in cambio di un lavoro, previste dalla "Poor Law", antico sistema di welfare del Regno Unito in vigore dal medioevo fino alla fine della seconda guerra mondiale; e per seguire il "Treadmill", il cosiddetto "mulino dei forzati", cioè i lavori forzati alla ruota dapprima con lo scopo di macinare il grano, poi inflitti come mera punizione carceraria, vi fu sottoposto anche Oscar Wilde in seguito alla condanna per sodomia.]
“Animati dal pensiero che non si faccia molto per offrire ai più una cristiana serenità di spirito e di corpo,” rispose il gentiluomo, “alcuni di noi si stanno prodigando per raccogliere fondi e dare ai poveri cibo e il necessario per scaldarsi. Abbiamo scelto questo periodo dell’anno perché è un periodo in cui più di altri il Bisogno è forte, e l’Abbondanza rallegra. Quanto posso segnare a vostro nome?”
“Un bel niente!” rispose Scrooge.
“Desiderate forse rimanere anonimo?”
“Desidero essere lasciato in pace,” disse Scrooge. “Dal momento che mi chiedete cosa desidero, signori, questa è la mia risposta. Non sono avvezzo a rallegrarmi del periodo natalizio, e non posso altresì permettermi di rendere allegri degli scansafatiche. Io contribuisco a sostenere le meritevoli istituzioni che ho precedentemente menzionate, esse hanno già un costo considerevole per la società, e tutti coloro che si trovano in difficoltà dovrebbero rivolgersi a loro.”
“Molti non la possono fare, e molti altri preferirebbero morire.”
“Se preferiscono morire,” disse Scrooge, “ebbene che lo facciano pure, così da sfoltire la popolazione in eccesso. Peraltro, e vogliate scusarmi, sono cose che non mi interessano.”
“Ma potrebbero interessarvi,” osservò il gentiluomo.
“Non sono affari che mi riguardano,” ribatté Scrooge. “Già tanto che un uomo si interessi dei propri affari e non metta becco in quelli altrui. I miei affari mi tengono già abbastanza occupato. Buonasera, gentiluomini!”
Vedendo chiaramente che sarebbe stato inutile insistere oltre, i gentiluomini batterono in ritirata. Scrooge ritornò al suo lavoro con un’accresciuta opinione di sé, e con l’umore più allegro del solito.
Frattanto la nebbia e il buio si erano così infittiti che la gente si era messa a correre per strada, armata di torce accese, offrendosi di mettersi davanti ai traini delle carrozze per condurli a destinazione. L’antica torre di una chiesa, la cui vecchia e rauca campana faceva da sempre capolino da una finestrella gotica incassata nel muro sopra l’ufficio di Scrooge, s’era fatta invisibile e batteva i quarti e le ore in mezzo alle nuvole in rintocchi seguiti da tremolanti vibrazioni, come se, da lassù, stesse battendo i denti dentro la sua volta gelata. Ancora più freddo. Sulla strada principale, all’angolo del vicolo, alcuni operai che stavano riparando le condutture del gas avevano acceso un grande fuoco in un braciere intorno al quale si era riunita una grand folla di uomini e di bambini cenciosi: si scaldavano le mani socchiudendo beati gli occhi davanti al focolare. Lo zampillo della fontanella, abbandonato a se stesso, si era scontrosamente congelato tramutandosi in misantropico ghiaccio. Le luci dei negozi, dove i ramoscelli di agrifoglio crepitavano al calore delle lampade appese alle finestre, coloravano i volti pallidi dei passanti. La merce dei droghieri e dei pollivendoli sfolgorava nelle vetrine, formidabile esposizione che sembrava non avere nulla a che spartire con i concetti così tediosi della commercializzazione e della vendita. Il Signor Sindaco, nel fortino del suo gran municipio, ordinava ai suoi cinquanta cuochi e maggiordomi di preparare un Natale come si conviene a un vero Signor Sindaco; e persino il piccolo sarto, che il lunedì precedente era stato multato di cinque scellini per ubriachezza molesta in mezzo alla strada, ora rimestava nella sua soffitta il pudding per l’indomani, mentre la sua esile consorte usciva con il suo bambino a comperare il manzo.
Ancora più nebbia, ancora più freddo! Un freddo pungente, tagliente, penetrante. Se il buon san Dunstano avesse afferrato il Demonio per il naso con un simile gelo anziché usando le sue celebri pinze, allora sì che l’avrebbe fatto gridare! [riferimento a San Dustano di Canterbury, il quale, secondo la leggenda, respinse il diavolo tentatore con un paio di pinze da fabbro]. Il proprietario di un giovane e scarno naso, rosicchiato e smangiato dal freddo famelico come un osso masticato dai cani, si chinò sul buco della serratura di Scrooge per omaggiarlo di un canto di Natale: ma al primo
Che Dio vi porti lieto la pace, o buon signore!
Che nulla possa affliggervi!
[prime strofe di “God Rest You Merry, Gentlemen”, noto canto natalizio]
Scrooge afferrò il righello con tale furia che il cantore fuggì via terrorizzato, lasciando il buco della serratura alla nebbia e al suo ancor più congeniale gelo.
Alla fine arrivò l’ora di chiudere. A malincuore Scrooge smontò dal suo sgabello, dando così un tacito segnale all’impiegato che fremeva dentro la sua cisterna, il quale spense subito la candela e si infilò in testa il cappello.
“Suppongo che domani vorrete prendervi tutta la giornata libera.”
“Se per voi non è di disturbo, signore.”
“In effetti lo è,” disse Scrooge, “e non lo trovo giusto. E se per questo decidessi di trattenervi mezza corona? Magari pensereste che vi stia facendo un torto, non è così?”
L’impiegato abbozzò un timido sorriso.
“E invece,” disse Scrooge, “se vi pagassi l’intera giornata per non fare nulla non vi passerebbe nemmeno per l'anticamera del cervello che il torto lo stiate facendo a me!”
L’impiegato osservò che ciò accadeva solo una volta all’anno.
“Una ben misera scusa per mettere le mani nelle tasche della gente ogni venticinque dicembre!” disse Scrooge, abbottonandosi il pastrano fino al mento. “Ma suppongo che dobbiate prendervi l’intera giornata libera. Perlomeno l’indomani vedete di essere qui di buonora!”
L’impiegato promise che lo avrebbe fatto senz'altro; e Scrooge se ne uscì brontolando. In un batter d’occhio l’ufficio venne chiuso, e l’impiegato, con gli orli della sua candida sciarpa che gli penzolavano in vita (poiché non poteva permettersi di possedere un pastrano), scese giù per una discesa a Cornhill, alla fine di una stradina piena di ragazzi, scivolando sul ghiaccio almeno una ventina di volte in onore della vigilia di Natale, per poi correre a rompicollo verso casa, a Camden Town, per giocare a mosca cieca.
Scrooge consumò la sua malinconica cena nella sua solita, malinconica, locanda; e avendo letto tutti i giornali, e trascorso il resto della serata a controllare i libri contabili, si avviò verso casa per mettersi a letto. Abitava in un agglomerato di appartamenti che erano stati di proprietà del suo defunto socio. Erano una serie di stanze buie e tetre, in una pila di bassi edifici in fondo a un cortile, dove apparivano così fuori luogo rispetto al resto che si poteva quasi immaginare che fossero finiti lì da ragazzi giocando a nascondino con le altre case, rimanendovi poi intrappolati perché avevano smarrito la via di uscita. Adesso si erano fatti così vecchi, e così tetri, che nessuno vi abitava a parte Scrooge, mentre gli altri locali erano stati affittati come uffici. Il cortile era così buio che perfino Scrooge, che pure ne conosceva palmo a palmo ogni singola pietra, avanzava brancolando a tentoni. Nebbia e ghiaccio si erano così tenacemente attaccati al vecchio portone nero dell’abitazione che sembrava che seduto sulla soglia vi fosse il Genio stesso dell’Inverno sprofondato in lugubri meditazioni.
Ora, è un dato di fatto che il battente del portone non avesse di per sé nulla di particolare, eccetto per il fatto che fosse un gran bel battente. Era altresì un fatto che Scrooge lo aveva abbondantemente visto ogni mattina e ogni sera da quando aveva preso residenza in quel palazzo; e pure che Scrooge era, fra tutti gli abitanti della città di Londra, il meno dotato di immaginazione, meno ancora - ed è tutto dire - dei membri delle corporazioni, dei consiglieri comunali e dei funzionari in divisa. Si tenga ben presente, inoltre, che Scrooge non aveva più pensato a Marley dal momento in cui aveva menzionato, quel pomeriggio, la sua dipartita avvenuta sette anni prima. E dunque qualcuno di voi mi spieghi, se può, come fu che Scrooge, infilata la chiave nella toppa, e senza che nessun elemento esterno fosse nel frattempo intervenuto a mutarne le condizioni, avesse visto non un battente, ma il volto di Marley.
Il volto di Marley. Non era immerso in un’impenetrabile oscurità come lo era tutto il resto nel cortile, ma era circondato da una tetra luminescenza, similmente a un’aragosta andata a male in fondo a un buio scantinato. Non appariva arrabbiata né feroce, ma osservava Scrooge com’era solito fare Marley: con gli occhiali da spettro sollevati sulla sua fronte di spettro. I suoi capelli erano curiosamente arruffati, come sollevati da uno sbuffo di vapore, e sebbene i suoi occhi fossero completamente sbarrati, rimanevano fissi e immobili. Tutto questo, unito al colorito livido, lo rendeva orribile; ma di un orrore che pareva estraneo al suo volto e alla sua volontà, come se gli fosse stato imposto da qualcos'altro.
Non appena Scrooge tentò di mettere meglio a fuoco il fenomeno, il battente ritornò a essere un battente.
Dire che non ne rimase sbalordito, o che le sue viscere non fossero consapevoli di un tremendo presentimento che gli era rimasto estraneo fin dall’infanzia, non corrisponderebbe a realtà. Nondimeno afferrò di nuovo la chiave che aveva lasciato sollevata a mezz’aria per un momento, la girò con decisione nella toppa, entrò e accese la candela.
Si arrestò, esitando un attimo nell’androne prima di chiudere la porta dietro di sé; per gettarvi prima una cauta occhiata, quasi che si aspettasse la visione terrificante del codino di Marley che spuntava dall’altra parte. Ma dietro la porta non vi era niente, eccetto che le viti e i bulloni che reggevano il battente, così bonfonchiò: “bah, bah!” e la richiuse con un gran tonfo.
Il suono rimbombò nella casa come un tuono. Ogni singola stanza di sopra, ogni singola botte nella cantina del vinaio sottostante, sembrò produrre un suo eco distinto e riconoscibile. Ma Scrooge non era uomo d’aver paura degli echi. Assicurò la porta e continuò ad avanzare, risalendo lentamente le scale e smoccolando la candela mano a mano che saliva.
Ora, si potrebbe anche immaginare di condurre un tiro a sei su per una gran rampa di scale, o magari di passare attraverso un gigantesco buco di bilancio; ma quel che intendo è che per quelle scale sarebbe potuto passarvi anche un carro funebre di traverso, col timone rivolto verso il muro e lo sportello alla ringhiera, e farlo senza alcuna difficoltà. Spazio ve n’era a sufficienza, e per giunta d’avanzo; e forse fu proprio per quello che Scrooge si figurò di aver visto nel buio un carro funebre grosso come una locomotiva passargli davanti al naso. Una mezza dozzina di lampioni a gas in mezzo alla strada non sarebbero bastati a illuminare a sufficienza quell'androne, per cui potete immaginarvi quale oscurità vi albergasse alla luce della sola candela di Scrooge.
Scrooge continuò a salire, per niente impressionato da tutto ciò: l’oscurità costava poco, e per questo a Scrooge piaceva. Ma prima di tirarsi dietro la pesante porta del suo appartamento fece il giro delle stanze per controllare che non vi fosse nulla fuori posto. Il ricordo dell’apparizione di quel volto bastò a spingerlo a procedere all’ispezione: salotto, camera da letto, ripostiglio. Tutto in ordine. Nessuno sotto il tavolo, nessuno sotto il divano; un fuocherello acceso nel caminetto; pronti cucchiaio e scodella; e il pentolino del porridge (Scrooge era un po’ raffreddato) in caldo sul focolare. Nessuno sotto il letto; nessuno dentro l’armadio; nessuno dentro la vestaglia che pendeva appesa al muro in posizione sospetta. Il ripostiglio appariva in ordine. Il vecchio parafuoco, le vecchie scarpe, due cestini per il pesce, un catino su un treppiede e un attizzatoio.
Relativamente soddisfatto, chiuse la porta, e, contrariamente alle sue abitudini, diede due belle mandate. Sentendosi al riparo da sgradite sorprese, si tolse la cravatta, si infilò vestaglia e pantofole e il suo berretto da notte; e si sedette davanti al fuoco per mangiare il suo porridge.
Era davvero un piccolo fuocherello, praticamente insignificante per una notte fredda come quella. Fu costretto ad avvicinarsi, e a sporgersi in avanti prima di ricavare la pur minima sensazione di tepore da quel mucchietto di legna. Era un vecchio caminetto, fatto costruire da un mercante olandese molto tempo addietro, rivestito con pittoresche mattonelle fiamminghe che recavano immagini delle Antiche Scritture. Vi apparivano dei Caini e degli Abeli; alcune figlie del Faraone, Regine di Saba, angelici messaggeri che discendevano dall’alto su nubi che parevano cuscini di piume, Abrami, Baldassarri, Apostoli che prendevano il mare a bordo di piccole barchette a forma di vaschette portaburro, centinaia di figure che attiravano la sua attenzione; eppure quel volto di Marley, morto sette anni prima, vi comparve come la verga dell’antico Profeta a inghiottire ogni cosa. Se ciascuna di quelle lisce mattonelle fosse stata lasciata in bianco, con la capacità di visualizzare sulla loro superficie gli sconnessi e frammentati pensieri di Scrooge, su ciascuna di esse sarebbe apparsa una copia del volto del vecchio Marley.
"Sciocchezze!" disse Scrooge; e si mise a camminare per la stanza.
Fatti diversi giri, si mise di nuovo a sedere. Non appena appoggiò la testa sullo schienale della sedia, lo sguardo gli si posò su una campanella, una campanella in disuso, che pendeva nella stanza e che comunicava per qualche ragione ormai dimenticata con una camera all’ultimo piano dell’edificio. Fu con gran stupore, e con uno strano, inspiegabile sgomento, che vide la campanella muoversi mentre la fissava. Dapprima così impercettibilmente da non emettere alcun suono; ma ben presto mettendosi a risuonare indiavolata portandosi appresso tutte le altre campanelle dell'appartamento.
Il tutto poteva essere durato un minuto, un minuto e mezzo, ma a Scrooge parve un'eternità. Poi, così come avevano iniziato, tutte le campanelle smisero all’unisono di suonare. Seguì un fragore di ferraglia proveniente dal basso, come se qualcuno stesse trascinando una pesante catena sopra le botti di vino. Scrooge si ricordò allora di aver sentito dire che i fantasmi che infestano le case si trascinano appresso delle catene.
La porta della cantina si aprì di schianto, e poi sentì quel rumore sempre più vicino, al piano di sotto; poi salire lungo le scale; e infine puntare diritto alla sua porta.
“Ancora sciocchezze!” disse Scrooge. “Non posso crederci.”
Tuttavia gli toccò sbiancare quando, senza incontrare la benché minima resistenza, quell’essere passò attraverso la pesante porta d’ingresso ed entrò nella stanza apparendo davanti ai suoi occhi. Al suo arrivo, la dileguante fiammella nel focolare ebbe un guizzo, come a gridare: “Io lo conosco! È il fantasma di Marley!”, per riaffievolirsi subito dopo.
Lo stesso volto: lo stesso identico volto. Marley con il suo codino e il suo consueto panciotto, gli stessi calzoni, gli identici stivali le cui nappine svolazzavano per aria, così come il codino e le falde del cappotto, e i capelli sulla testa. Stretta intorno alla vita si trascinava una catena. Era lunga, e gli girava tutt'intorno come una coda; ed era composta (poiché Scrooge ora la poteva osservare ben da vicino) da cassette, chiavi, lucchetti, registri contabili, atti notarili e pesanti portamonete lavorati in acciaio. Il suo corpo era trasparente; così che Scrooge, osservandolo, poteva scorgerne i due bottoni sul retro della giacca attraverso il panciotto.
Scrooge in effetti aveva sempre sentito dire che Marley era uomo sprovvisto di visceri, ma non aveva mai pensato fino a quel punto.
No, nemmeno adesso ci credeva. Nonostante riuscisse ad attraversare con lo sguardo lo spettro da parte a parte, e lo vedesse lì in piedi ergersi davanti a lui; nonostante fosse sotto il gelido influsso dei suoi freddi occhi di morto e riuscisse a distinguere la trama del fazzoletto che gli teneva la mandibola attaccata alla testa, particolare che in un primo momento non aveva notato, Scrooge continuava a non voler credere, e lottava contro i suoi stessi sensi.
“E dunque?” disse Scrooge, freddo e caustico come sempre. “Che vorresti da me?”
“Molto!” era la voce di Marley, non v’era alcun dubbio.
“Chi saresti?”
“Chiedimi piuttosto chi sono stato.”
“Chi sei stato, dunque?” disse Scrooge alzando il tono di voce. “Mi sembri un po’ pignolo per essere un’ombra.” Stava per dire “solamente un’ombra” ma si corresse subito ritenendo che fosse meglio così.
“In vita fui il tuo socio, Jacob Marley.”
“Riusciresti… riusciresti a metterti a sedere?” chiese Scrooge, guardandolo dubbioso.
“Certamente.”
“Allora fallo.”
Scrooge gli aveva rivolto questa domanda perché non sapeva bene se un siffatto fantasma così etereo fosse stato in grado di farlo; e qualora non fosse stato in grado, sentiva che la situazione avrebbe comportato per lo spettro una qualche spiegazione imbarazzante. Ma il fantasma si sedette sul lato opposto del caminetto con una certa disinvoltura, come se fosse abituato a farlo.
“Tu non mi credi,” osservò il Fantasma.
“No,” disse Scrooge.
“Quale prova vorresti della mia presenza più di quella che ti forniscono i tuoi sensi?”
“Non saprei,” disse Scrooge.
“Perché dubiti dei tuoi sensi?”
“Perché,” disse Scrooge, “basta un niente a confonderli. È sufficiente un lieve disturbo di stomaco per farsi ingannare. Magari sei solo un boccone di carne mal digerito, o un grumo di senape, o una crosta di formaggio, o magari un pezzetto di patata rimasta cruda. Insomma c’è più salsa che salma in te, qualunque cosa tu sia!”
Scrooge non era molto portato per i giochi di parole, né si sentiva, in quel particolare momento, in vena di scherzi. In realtà abbozzò quel gioco di parole solo allo scopo di distrarsi e per tenere sotto controllo la paura, dato che la voce dello spettro gli penetrava nelle ossa fin dentro il midollo. Sentiva che se fosse rimasto lì seduto a fissare in silenzio quegli occhi vitrei e sbarrati, per lui sarebbe stata la fine. C’era poi un’altra cosa di terribile, e cioè che lo spettro sembrava avvolto in una sua aura infernale. Scrooge non era in grado di distinguerla, ma la percepiva chiaramente: benché il Fantasma sedesse perfettamente immobile, i suoi capelli, le falde del soprabito e le nappine degli stivali continuavano a flutturagli intorno come mossi dal vapore caldo di una fornace.
“Lo vedi questo stuzzicadenti?” disse Scrooge, ritornando immediatamente alla carica per le ragioni sopra descritte, nel tentativo di distogliere da sé anche solo per un istante quello sguardo glaciale.
“Lo vedo,” rispose lo Spettro.
“Tuttavia non lo stai guardando,” disse Scrooge.
“Ma lo vedo comunque,” disse ancora lo Spettro.
“Bene!” ribatté Scrooge. “Perché mi basterebbe inghiottire uno solo di questi per essere perseguitato per il resto della giornata da una legione di spiritelli molesti, tutti di mia sola invenzione. Sciocchezze, te lo dico io, nient’altro che sciocchezze!”
A questo punto lo Spettro cacciò un urlo spaventoso e scosse così fragorosamente la catena sollevando un tale fracasso che Scrooge dovette afferrarsi alla poltrona per evitare di cadere a terra svenuto. Ma ancor più grande fu lo spavento quando lo spettro, come se lì dentro facesse troppo caldo, si sciolse il fazzoletto che teneva legato attorno alla testa lasciando cadere la mandibola sul petto!
Scrooge crollò sulle ginocchia coprendosi il volto con le mani.
“Pietà!” disse. “Orribile apparizione, perché mi perseguiti?”
“Uomo di poca fede!” replicò il Fantasma, “mi credi adesso o no?”
“Sì, ti credo,” disse Scrooge. “Non posso altrimenti. Ma perché gli spiriti vagano sulla terra, e perché mai mi vengono a cercare?”
“È richiesto agli uomini” disse in risposta il Fantasma, “che lo spirito che alberga dentro ognuno di loro debba vagare in mezzo ai suoi simili, e che debba viaggiare in lungo e in largo; e se non lo fa in vita, è condannato a farlo dopo la morte. Sarà condannato a errare per il mondo - ahimè - e a vedere il bene senza poterne godere, quel bene che avrebbe potuto donare agli altri quand’era ancora in vita, e che avrebbe fatto la sua felicità!”
Il Fantasma urlò di nuovo, scuotendo la catena, torcendosi le mani spettrali.
“Sei incatenato,” disse Scrooge, tutto tremante. “Perché?”
“Porto una catena che io stesso mi sono fabbricato in vita,” replicò il Fantasma. “Me la fabbricai anello per anello, pezzo per pezzo; me la strinsi io stesso, di mia volontà, e per mia volontà la indossai. Ti rammenta qualcosa la sua forma?”
Scrooge tremava sempre di più.
“O vorresti conoscere,” proseguì il Fantasma, “peso e lunghezza delle grosse catene che tu stesso ti trascini? Erano lunghe e pesanti proprio quanto le mie, sette vigilie fa. Da allora non hai mai smesso di lavorarvi. Sono gigantesche!”
Scrooge si guardò intorno scrutando il pavimento, come se si aspettasse di trovarsi circondato da cinquanta o sessanta braccia di catene, ma non vide niente.
“Jacob,” disse, implorandolo. “Vecchio Jacob Marley, dimmi di più. Dammi un po’ di conforto, Jacob.”
“Non ho alcun conforto da darti,” rispose il Fantasma. “Arriverà, ma da altre regioni, o Ebenezer Scrooge, e viene concesso da ben altri ministri a uomini di ben altra levatura della tua. Né posso dirti tutto quello che vorrei. Pochissimo è quello che mi è ancora concesso. Non mi è concesso di trovare riposo, non mi è concesso di soffermarmi in nessun luogo. Il mio spirito non si è mai allontanato dal nostro ufficio contabile - ascolta bene! - in vita il mio spirito non si è mai spinto più in là degli angusti confini di quel nostro tugurio; lunghi e faticosi viaggi mi attendono ormai!”
Era abitudine di Scrooge, ogni volta che si faceva pensieroso, di infilarsi le mani nelle tasche dei pantaloni. Così fece in quel momento, mentre rifletteva sulle parole del Fantasma, ma senza sollevare gli occhi da terra e restandosene in ginocchio.
“Te la sei presa comoda, Jacob,” osservò Scrooge in tono professionale, tuttavia con umiltà e deferenza.
“Presa comoda!” ripeté il Fantasma.
“Morto da sette anni,” precisò Scrooge, “e hai viaggiato tutto il tempo?”
“Tutto il tempo,” disse il Fantasma. “Senza posa, senza pace. Sotto l’incessante tortura del rimorso.”
“E sei molto veloce?” disse Scrooge.
“Come il vento,” replicò il Fantasma.
“Ne dovresti aver fatta di strada in sette anni!” disse Scrooge.
Udendo queste parole, il Fantasma lanciò un altro grido e scosse così fragorosamente la catena nell’assoluto silenzio della notte che la Guardia in fondo alla strada avrebbe potuto notificargli l’accusa di disturbo alla quiete pubblica.
“Oh! Tu, schiavo, imprigionato, e doppiamente incatenato,” urlò lo spettro, “al non sapere che secoli e secoli di incessante lavorio compiuto da creature immortali per il bene di questa terra, passeranno nell’eternità prima che tutto il bene di cui è capace abbia avuto anche solo la possibilità di essere tradotto in pratica; al non sapere che ogni spirito cristiano, pur lavorando entro gli angusti limiti della sfera assegnatagli, quale essa sia, troverà troppo breve il tempo mortale per le sue vaste possibilità d’impiego; al non sapere che non v’è misura di rimorso per le occasioni sprecate di una vita perduta! Eppure anch’io ero così! Oh! Anch’io ero così!”
“Ma tu sei sempre stato un eccellente uomo d’affari, Jacob,” farfugliò Scrooge, che ora iniziava a misurarsi con quanto gli veniva detto.
“Affari!” urlò il Fantasma, torcendosi di nuovo le mani. “I miei simili erano i miei affari! Il bene di tutti, la carità, la misericordia, la tolleranza, la benevolenza, questi erano i miei affari! Nel vasto oceano dei miei affari le transazioni commerciali non erano che una minuscola goccia!”
“Sollevò la catena per quanto il braccio era lungo, come se quella fosse la fonte di tutta la sua inesauribile afflizione, per poi gettarla nuovamente, e pesantemente, a terra.
“È in questo periodo dell’anno,” disse lo spettro, “che soffro maggiormente. Perché mai io ho camminato tra la folla dei miei simili guardando a terra, senza mai sollevare gli occhi alla Stella benedetta che condusse i Magi a quella povera capanna? Non ve n’erano forse altre di povere capanne, qui sulla terra, alle quali la sua luce avrebbe potuto condurmi?”
Scrooge era così atterrito nell’udire lo spettro proseguire su quel tono, che iniziò a tremare in modo incontrollato.
“Ascolta!” urlò il Fantasma. “Il mio tempo qui è scaduto.”
“Ti ascolterò,” disse Scrooge. “Ma non essere così duro con me! Non essere così misterioso, Jacob! Ti supplico!"
“Non sono in grado di spiegarti come sia possibile che ti compaia davanti in una forma a te comprensibile. Per molti giorni ti sono stato accanto, invisibile.”
Non era un'idea molto confortante. Scrooge rabbrividì, e si asciugò il sudore dalla fronte.
“E questa non è la parte più lieve della mia condanna,” proseguì il Fantasma. “Sono qui, questa notte, per darti un avvertimento: hai ancora una possibilità e una speranza di sfuggire al mio destino. Una possibilità e una speranza che sono io a procurarti, Ebenezer.”
“Mi sei sempre stato amico,” disse Scrooge. “Ti ringrazio!”
“Sarai visitato,” riprese il Fantasma, “da Tre Spettri.”
La mandibola di Scrooge scese a terra quasi quanto quella del Fantasma.
“È questa la possibilità e la speranza che mi hai menzionato poc'anzi, Jacob?” domandò la voce tremante di Scrooge.
“È questa.”
“Io… Io credo che preferirei non incontrarli,” disse Scrooge.
“Non incontrandoli,” disse il Fantasma, “non potrai evitare il destino che mi è toccato. Attendi il primo per domani, quando la campana suonerà l’una.”
“Non potrei incontrarli tutti e tre insieme, e farla finita in una volta sola, Jacob?” suggerì Scrooge.
“Attendi il secondo la notte successiva alla stessa ora. Il terzo la notte dopo, quando l’ultimo rintocco delle dodici avrà smesso di suonare. Bada, non mi rivedrai più; e bada, per il tuo bene, di tenere a mente quanto ti ho detto!”
Pronunciate queste parole, lo spettro raccolse il fazzoletto dal tavolo e se lo legò di nuovo intorno alla testa. Scrooge se ne accorse dallo scatto secco che fecero i denti una volta che la mandibola fu di nuovo riattaccata al suo posto. Solo allora si azzardò a sollevare lo sguardo e vide che il suo soprannaturale visitatore stava in piedi ritto davanti a lui, con la catena avvolta attorno al braccio.
L’apparizione cominciò a indietreggiare, e a ogni suo passo la finestra si alzava di un poco, così che quando lo spettro le fu vicino era completamente spalancata. Fece cenno a Scrooge di avvicinarsi, e lui lo fece.
Quando furono alla distanza di due passi, il Fantasma di Marley sollevò la mano, facendogli segno di non procedere oltre. Scrooge si fermò.
Ma più che per obbedienza, lo fece per la sorpresa e per lo spavento, perché al sollevarsi della mano, avvertì dei rumori confusi nell’aria; suoni incoerenti di lamentazione e di rimpianto; gemiti inesprimibili di dolore e di rimorso. Lo spettro, dopo averli ascoltati per un istante, si unì a quella triste litania; per poi scomparire fluttuante nella desolata, buia oscurità.
Scrooge lo seguì con lo sguardo dalla finestra, preso da una una disperata curiosità. Guardò fuori.
L’aria brulicava di spettri, che vagavano gemendo da una parte all’altra in un moto senza posa. Ciascuno di loro reggeva una catena come quella di Marley; alcuni di loro (forse dei politici corrotti) erano legati l'uno all'altro; nessuno in ogni caso era sprovvisto di una qualche catena. Molti di loro erano stati personalmente conosciuti da Scrooge in vita. Era stato quasi in confidenza con un vecchio fantasma che portava un panciotto bianco, con una gigantesca cassaforte di ferro legata alla caviglia, che ora piangeva pietosamente perché non aveva modo di aiutare una povera donna con un bambino che vedeva sotto di sé, seduta sui gradini di un portone. La loro sofferenza scaturiva dal palese tentativo di intervenire a fin di bene nelle faccende umane, pur avendo perso per sempre la facoltà di farlo.
Se queste creature si fossero dissolte nella nebbia, o se la nebbia le avesse inghiottite nelle sue spire, non avrebbe saputo dire. Esse e le loro voci spettrali svanirono all'unisono, e la notte ritornò a essere la medesima notte di quando era diretto a casa.
Scrooge chiuse la finestra ed esaminò la porta dalla quale era entrato il Fantasma. Era chiusa a doppia mandata, così come l’aveva chiusa egli stesso, e i chiavistelli non erano stati spostati. Stava per accennare un “Sciocchezze!” ma non gli riuscì di andare oltre la prima sillaba. E trovandosi - vuoi per le emozioni che aveva vissuto, vuoi per le fatiche del giorno, o per quell’assaggio di Mondo Invisibile, o per l’oscura conversazione intrattenuta col Fantasma, o per l’ora ormai tarda - nell’estrema necessità di riposarsi, se ne andò diritto a letto, senza svestirsi, e si addormentò all'istante.